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mercoledì 19 marzo 2014

“L’eruzione Del Vesuvio” di Plinio il Giovane


Molti giorni innanzi s’erano avute scosse di terremoto,senza però che la gente ne fosse spaventata,perché in Campania il terremoto è un fatto abituale. Ma quella notte esso si manifestò con una tal violenza, da sembrare che ogni cosa non tremasse,ma addirittura crollasse. Era già la prima ora del giorno, e tuttavia la luce appariva ancora incerta e quasi languente. Le case all’intorno erano tutte gravemente lesionate,non ci trovavamo in un luogo aperto, ma stretto, e temevamo perciò il pericolo grave e inevitabile di restar schiacciati dalla caduta di qualche edificio. Soltanto allora credemmo opportuno di uscir fuori dalla città. Ci vien dietro il popolo tutto sbigottito, e con la gran calca ci urta e ci spinge, mentre ci allontaniamo. Appena usciti dall’ abitato, ci fermiamo. Quivi ci capita di osservare molti fenomeni sorprendenti e di provare molte paure. Le carrozze, che avevamo fatto venir con noi, benchè fossero in un terreno perfettamente piano, davano indietro, e nemmeno puntellate da pietre rimanevano ferme. Inoltre vedevamo il mare come respinto dalle scosse di terremoto. Certo è che la spiaggia s’ era avanzata, e molti pesci restavano in secco. Dalla parte opposta, una nube nera e spaventosa, squarciata da serpeggianti guizzi di fuoco, si apriva in lunghe strisce di fiamme. Già cominciava a piovere cenere , ma non fitta ancora. Mi volto: una densa caligine ci sovrasta alle spalle, e, dilagando sulla terra, c’incalza come un torrente. “Mettiamoci fuori di questa strada” io dissi, “finchè ci si vede, per non essere buttati a terra e nell’ oscurità, calpestati dalla folla che ci vien dietro”. Si eravamo appena seduti, e viene la notte, come in una stanza tutta chiusa,a lumi spenti. Si udivano urli di donne, vagiti  di bambini ,grida di uomini. Coi richiami della voce, chi cercava il padre, chi i figli, chi la moglie, e al suono della voce li riconosceva. Alcuni commiseravano la propria disgrazia, altri quella dei propri cari; c’ era poi della gente che per paura della morte invocava la morte; molti dicevano che quella sarebbe stata una notte eterna, l’ ultima del mondo.Intanto si fece un po’ chiaro; a noi però questo chiarore non parva giorno, ma indizio di fuoco vicino. Fortunatamente il fuoco si fermò alquanto lontano, poi di nuovo tenebre, di nuovo pioggia di cenere fitta e pesante. Noi di tanto in tanto ci alzavamo in piedi e ce la scrollavamo di dosso;altrimenti, saremmo rimasti schiacciati sotto il suo peso. Finalmente quella caligine assottigliatasi, svanì come in fumo e in nebbia;poi si fece veramente giorno, e brillò anche il sole, ma pallido, come suol essere in tempo di eclissi. Ai nostri occhi ancor trepidanti tutto appariva mutato, coperto da alta cenere, come da neve. Ritornati a Miseno, passammo una notte affannosa, incerti tra la speranza  e il timore. Ma il timore prevaleva, perché la terra continuava a tremare.
(“L’eruzione Del Vesuvio” di Plinio il Giovane  Lettera VI, 20  a Tacito – Proposta e letta da Livia Guardascione a Villa Cerillo il 28 febbraio ’14 ) http://www.booksblog.it/post/10517/leruzione-del-vesuvio-nelle-lettere-di-plinio-a-tacito http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/tt2/PlinioGiovane/Epist0620.html

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