Molti giorni
innanzi s’erano avute scosse di terremoto,senza però che la gente ne fosse
spaventata,perché in Campania il terremoto è un fatto abituale. Ma quella notte
esso si manifestò con una tal violenza, da sembrare che ogni cosa non
tremasse,ma addirittura crollasse. Era già la prima ora del giorno, e tuttavia
la luce appariva ancora incerta e quasi languente. Le case all’intorno erano
tutte gravemente lesionate,non ci trovavamo in un luogo aperto, ma stretto, e
temevamo perciò il pericolo grave e inevitabile di restar schiacciati dalla
caduta di qualche edificio. Soltanto allora credemmo opportuno di uscir fuori
dalla città. Ci vien dietro il popolo tutto sbigottito, e con la gran calca ci
urta e ci spinge, mentre ci allontaniamo. Appena usciti dall’ abitato, ci
fermiamo. Quivi ci capita di osservare molti fenomeni sorprendenti e di provare
molte paure. Le carrozze, che avevamo fatto venir con noi, benchè fossero in un
terreno perfettamente piano, davano indietro, e nemmeno puntellate da pietre
rimanevano ferme. Inoltre vedevamo il mare come respinto dalle scosse di
terremoto. Certo è che la spiaggia s’ era avanzata, e molti pesci restavano in
secco. Dalla parte opposta, una nube nera e spaventosa, squarciata da
serpeggianti guizzi di fuoco, si apriva in lunghe strisce di fiamme. Già
cominciava a piovere cenere , ma non fitta ancora. Mi volto: una densa caligine
ci sovrasta alle spalle, e, dilagando sulla terra, c’incalza come un torrente.
“Mettiamoci fuori di questa strada” io dissi, “finchè ci si vede, per non
essere buttati a terra e nell’ oscurità, calpestati dalla folla che ci vien
dietro”. Si eravamo appena seduti, e viene la notte, come in una stanza tutta
chiusa,a lumi spenti. Si udivano urli di donne, vagiti di bambini ,grida di uomini. Coi richiami
della voce, chi cercava il padre, chi i figli, chi la moglie, e al suono della
voce li riconosceva. Alcuni commiseravano la propria disgrazia, altri quella
dei propri cari; c’ era poi della gente che per paura della morte invocava la
morte; molti dicevano che quella sarebbe stata una notte eterna, l’ ultima del
mondo.Intanto si fece un po’ chiaro; a noi però questo chiarore non parva
giorno, ma indizio di fuoco vicino. Fortunatamente il fuoco si fermò alquanto
lontano, poi di nuovo tenebre, di nuovo pioggia di cenere fitta e pesante. Noi
di tanto in tanto ci alzavamo in piedi e ce la scrollavamo di dosso;altrimenti,
saremmo rimasti schiacciati sotto il suo peso. Finalmente quella caligine
assottigliatasi, svanì come in fumo e in nebbia;poi si fece veramente giorno, e
brillò anche il sole, ma pallido, come suol essere in tempo di eclissi. Ai
nostri occhi ancor trepidanti tutto appariva mutato, coperto da alta cenere, come
da neve. Ritornati a Miseno, passammo una notte affannosa, incerti tra la
speranza e il timore. Ma il timore
prevaleva, perché la terra continuava a tremare.
(“L’eruzione Del Vesuvio” di Plinio il Giovane Lettera VI, 20 a Tacito – Proposta e letta da Livia Guardascione a Villa Cerillo il 28 febbraio ’14 ) http://www.booksblog.it/post/10517/leruzione-del-vesuvio-nelle-lettere-di-plinio-a-tacito http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/tt2/PlinioGiovane/Epist0620.html
(“L’eruzione Del Vesuvio” di Plinio il Giovane Lettera VI, 20 a Tacito – Proposta e letta da Livia Guardascione a Villa Cerillo il 28 febbraio ’14 ) http://www.booksblog.it/post/10517/leruzione-del-vesuvio-nelle-lettere-di-plinio-a-tacito http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/tt2/PlinioGiovane/Epist0620.html
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