L’impronta dell’eternità … Queste pietanze, queste coppe, questi tappeti e questi bicchieri quale vita assente suggeriscono al nostro cuore? Fuori dai contorni del quadro, forse, il tumulto e la noia della vita, l’incessante e vana corsa stremata dai progetti- ma, dentro, la pienezza di un momento sospeso, strappato al tempo della bramosìa umana. La bramosìa umana ! Non possiamo smettere di desiderare, e questo ci esalta e ci uccide al contempo. Il desiderio! Ci sostiene e ci crocifigge, portandoci ogni giorno sul campo di battaglia dove ieri abbiamo perso ma che, nel sole di un’altra giornata, ci sembra nuovamente un terreno di conquista; e anche se domani moriremo, il desiderio ci fa erigere imperi destinati a diventare polvere, come se la consapevolezza che presto cadranno non riguardasse la sete di edificarli ora; ci infonde l’energia di volere sempre quello che non possiamo possedere e ci getta all’alba sull’erba disseminata di cadaveri, affidandoci fino alla morte progetti che appena compiuti subito rinascono. Ma è così estenuante desiderare incessantemente .. ben presto aspiriamo ad un piacere senza ricerca, sogniamo una condizione felice che non abbia inizio né fine e in cui la bellezza non sia più finalità né progetto, ma divenga la certezza stessa della nostra natura. Ebbene, questa condizione è l’Arte. Ho dovuto forse imbandirlo questo tavolo? Per vedere queste pietanze ho dovuto desiderarle? Da qualche parte, altrove, qualcuno ha voluto questo pasto, ha aspirato a questa trasparenza cristallina e ha perseguito il piacere di carezzare con la propria lingua il serico sapore salato di una ostrica al limone. E’ stato necessario questo progetto, incastonato in altri cento e da cui ne sgorgano altri mille, questo intento di preparare e di assaporare un banchetto di molluschi- questo progetto altrui, per l’esattezza – perché il quadro prendesse forma.
Ma quando guardiamo una natura morta, quando ci deliziamo di una bellezza che non abbiamo perseguito e che porta in sé la raffigurazione glorificata e immobile delle cose, godiamo di ciò che non abbiamo dovuto bramare, contempliamo ciò che non è stato necessario volere, amiamo ciò che non è stato necessario desiderare. Quindi la natura morta incarna la quintessenza dell’Arte, la certezza del senza tempo, perché essa raffigura una bellezza che parla al nostro desiderio ma è generata dal desiderio altrui, perché si accorda al nostro piacere senza entrare in nessuno dei nostri piani, perché si dona a noi senza che ci sforziamo di desiderarla. Nella scena muta, senza vita né movimento, si incarna un tempo privo di progetti, una perfezione strappata alla durata e alla sua logora avidità – un piacere senza desiderio, una esistenza senza durata, una bellezza senza volontà. Giacchè l’Arte è l’emozione senza il desiderio.
( “Un’esistenza senza durata” da L’eleganza del Riccio di Muriel Barbery – Brano proposto e letto a Villa Cerillo il 31 gennaio’14 da Livia Guardascione)
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