Prefazione di
Salvatore Borsellino
Il 19 luglio del 1992
- una data che resterà impressa a fuoco
nelle coscienze degli italiani, di quelli almeno che amano il nostro paese e
prendono ad esempio i suoi martiri, di quelli che aspettano di sentire quel
“fresco profumo di libertà” di cui parlava Paolo negli ultimi giorni della sua
vita – Paolo si alzò alle cinque del mattino, come faceva quasi ogni giorno e
cominciò a scrivere una lettera. Era una domenica di luglio, calda come sa
essere caldo luglio a Palermo. Dopo meno di un’ora, Paolo fu interrotto da una
inaspettata e inusuale telefonata del Procuratore Pietro Giammanco, il suo capo
diretto e capo della Procura di Palermo. Non gli aveva mai telefonato a
quell’ora, e di domenica. Paolo, che era già venuto a sapere che a Palermo era
arrivato il carico di esplosivo che doveva servire per ucciderlo, forse capì in quel momento che quel giorno
che attendeva da 57 giorni, dalla morte del suo collega, del suo amico e
fratello Giovanni Falcone, era adesso giunto. Ma in quella lettera che non
riuscì a finire e che trovammo, incompiuta, sul suo tavolo, Paolo aveva già
scritto, in risposta a dei giovani di un liceo di Padova che, tramite la loro professoressa,
gli ponevano delle domande, quello che io credo sia il suo messaggio più grande
e indelebile, quello che meglio ci fa capire la sua vita, la sua morte e il suo
essere ancora più vivo dopo la stessa morte.
Paolo aspettava la sua morte,
sapeva che lo Stato lo aveva abbandonato, sapeva che al di sopra di lui, delle
sue indagini per inchiodare gli assassini di Falcone, pezzi dello Stato avevano
aperto e stavano conducendo una trattativa
con quegli assassini, aveva forse presagito che era ormai arrivato alla
fine del suo cammino, eppure Paolo in quella lettera parlò a quei giovani di
speranza. Ma che cos’è la speranza in un uomo che sta per morire? Non è facile
capirlo, io ci ho messo 20 anni dopo la morte di Paolo per capirlo. Da quella
domenica di luglio lotto per avere Giustizia, lotto per conoscere la Verità,
perché l’Italia e il mondo conoscano la Verità su quella strage e sui venti
anni che ne sono seguiti. Persi la speranza quando capii che gli anni che mi
restavano da vivere non mi sarebbero bastati per avere Giustizia, perché la
Verità sia la Verità di tutti, ma ho potuto perderla perché la mia era una
speranza egoistica. Volevo esserci anche io quel giorno. Sono stati i giovani a
farmi riacquistare la speranza, quei giovani che non avevano venti anni nel
1992, che nel 1992 magari non erano ancora nati. Ma tanti di loro oggi hanno
sete di sapere, più di tanti adulti ormai assuefatti, ormai rassegnati, hanno
sete di conoscere il passato del nostro paese per capire il loro presente e per
lottare per il proprio futuro e sono diventati loro la mia speranza. Era per
questi giovani che Paolo lottava, era per questi giovani che Paolo sperava, era
per questi giovani che Paolo scriveva, in quella sua ultima lettera: “Sono
ottimista, quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di combattere
di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta”. Mio fratello quello che io
ho capito oggi lo aveva già capito venti anni fa e questo gli poteva permettere
di andare sorridendo incontro alla morte. Ma mio fratello si chiamava Paolo
Borsellino. Forse quel “fresco profumo di libertà” che Paolo anelava di sentire
nel nostro paese non lo abbiamo, se non per brevi momenti, mai sentito, ma sarà
il vento della speranza a spingerlo. Sperare non vuol dire aspettare che
qualche cosa succeda, significa lottare perché qualcosa possa succedere e
questo libro, scritto da giovani per i giovani e con i mezzi espressivi che
oggi fanno parte del linguaggio dei giovani, fa a pieno titolo parte di questa
lotta.(Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino)
( Lettura di Alessandro Parisi a Villa Cerillo nel corso dell’Incontro del 31 maggio’13)
1 commento:
grazie Alessandro per questo brano. mai dimenticare, perchè solo così si può davvero costruire il futuro che ci spetta.
claudia
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