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martedì 16 ottobre 2012

TARANTERRA di Mimmo Grasso


E’ un’opera complessa, Taranterra di Mimmo Grasso, articolata in un susseguirsi di metafore, allegorie e sillogismi. A tratti sembra quasi un ‘ esplosione insensata di “ fiumi di  parole”  in alternanza a “laghi di soave poesia”.
Un esempio degli uni e degli altri ? ne riporterò uno stralcio … in “commento”..
In realtà il testo di Mimì Grasso  è perfetto per la trasposizione teatrale realizzata, con la regia di Massimo Maraviglia, dal Gruppo Asylum Anteatro ai Vergini - Napoli, con Ettore Nigro e la compagnia Asylum 2012, le musiche di Andrea Tarantino e la magìa dei luoghi raggiunti nel Tour : dopo il “Via”dato con la rappresentazione a Nola, toccando S.Maria C.V., Napoli e dintorni, Maiori, Scala, Agerola, Calitri, Monteverde, S.Andrea di Conza, Bacoli, M.di Procida, Saviano, Pozzuoli, il Tour si concluderà nel 2013, autofinanziandosi con gli spettacoli che verranno tenuti “lungo il percorso fino a Santiago” !
Sia per chi, come me, ha visto lo spettacolo anche più volte, sia per chi si è perso questa opportunità, è molto godibile il trailer su Taranterra .. http://www.youtube.com/watch?v=LVakgjDzpRk  nonché …
http://www.montediprocida.com/wp/2012/07/video-lo-spettacolo-taranterra-nel-suggestivo-scenario-di-acquamorta
Marzullann
Dal WEB:*Nota di merito … alla “mirabile recensione” di Franco Lillini:
Lo spettacolo teatrale Taranterra si può ritenere un azzeccato connubio tra testo e messinscena. Regista e attori hanno saputo, a mio avviso, cogliere appieno il senso del testo poetico di Grasso allestendo una pièce gradevole e coinvolgente e anche se talvolta il linguaggio appare "ermetico" per la complessità di alcuni passaggi, l'obiettivo di emozionare lo spettatore è stato comunque pienamente raggiunto.
Attraverso l'uso sapiente degli Archetipi si stimola l'immaginario di ognuno: le parole, i gesti, i segni, i simboli, diventano via via sempre più riconoscibili fino al momento in cui tutto diventa comprensibile e quindi godibile.



Baccanti / amazzoni si scatenano in danze dionisiache, sono questi i prodromi della Tammurriata / 'Ntrezzata dove... i bastoni si trasformano ora in sbarre, ora in lance e spade e le tammorre diventano gli scudi delle danze pirriche. Sono proprio le tammorre, strumento - simbolo al femminile le protagoniste della rappresentazione, esse scandiscono tutto il percorso, ora fragorose e ora mute e sorde, perchè senza "ciceri". L' incessante, ossessivo ritmo dei cembali guida (più che accompagnare) sia le azioni che le parole sin dall'inizio per arrivare al momento finale in cui le stesse tammorre, in una geniale metamorfosi scenica diventano dei pendoli - metronomi che scandiscono il fluire del tempo.
L'attore che racconta (il travolgente Ettore Nigro) è barbuto, logorroico, agitato, e in una sorta di dualismo mistico trova il suo antagonista in una figura glabra, mefistofelica che si aggira inquietante sulla scena e che sembra essere appena emersa dalle acque dell'Ade - Averno, distante da lì pochi passi. Egli tace, ma la sua è una presenza ingombrante, penso infatti che non sia un caso il fatto che indossi una veste che ricorda quella del Dalai Lama, la "Presenza", appunto.
Nel testo del patafisico Mimmo Grasso ricorrono oggetti arcaici e magici: lo specchio, le salamandre, la sabbia, la farina, il carbone... e grazie proprio all'abilità dell'autore, essi riescono a trasmettere agli spettatori il loro potere evocativo e i loro veri significati mai del tutto rimossi dai nostri inconsci di uomini mediterranei.
Una efficace colonna musicale scandisce gli stacchi di ogni "quadro" (la processione, la gogna, la prigione, la tenda...) e ad ogni stacco il coro, puntuale, descrive l'azione.
Le ragazze del coro (brave e scatenate) incarnano tutta l'energia della Terra della Taranta, esse diventano volta per volta guerriere, tarantolate, janare e infine prefiche lamentatrici che si abbandonano in un pianto rituale.
Nel complesso tutta la rappresentazione, nella sua essenzialità, risulta di grande livello e merita di essere goduta e apprezzata da un pubblico più vasto. E' quello che si ripropongono di fare i ragazzi dell'Asylum Anteatro ai Vergini che la porteranno in giro per la Campania, ma sempre in posti molto suggestivi.

Franco Lillini
i bastoni si trasformano ora in sbarre, ora in lance e spade e le tammorre diventano gli scudi delle danze pirriche.Sono proprio le tammorre strumento-simbolo al femminile le protagoniste della rappresentazione.Esse scandiscono tutto il percorso ora fragorose ora mute e sorde,perché senza “ciceri”.L’incessante ossessivo ritmo dei cembali guida(più che accompagnare) sia le azioni che le parole sin dall’inizio per arrivare al momento finale in cui le stesse tammorre, in una geniale metamorfosi scenica, diventano dei pendoli, metronomi che scandiscono il fluire del tempo.
L’attore che racconta, il travolgente Ettore Nigro, è barbuto, logorroico, agitato e in una sorta di dualismo mistico trova il suo antagonista in una figura glabra, mefistofelica che si aggira inquietante sulla scena e che sembra essere appena emersa dalle acque dell’Ade-Averno distante da lì pochi passi.Egli tace ma la sua è una presenza ingombrante, penso infatti che non sia un caso che indossi una veste che ricorda quella del Dalai-Lama, la “Presenza “, appunto.
Nel testo del patafisica Mimmo Grasso ricorrono oggetti arcaici e magici: lo specchio, le salamandre,la sabbia, la farina, il carbone… e grazie proprio all’abilità dell’autore essi riescono a trasmettere agli spettatori il loro potere evocativo e i loro veri significati mai del tutto rimossi dai nostri inconsci di uomini mediterranei.
Una efficace colonna musicale scandisce gli stacchi di ogni “quadro”:la processione, la gogna, la prigione,la tenda…) e ad ogni stacco il coro, puntuale, descrive l’azione.
Le ragazze del coro( brave e scatenate)incarnano tutta l’energia della Terra della Taranta, esse diventano volta per volta guerriere ,tarantolate,janare e infine prefiche lamentatrici che si abbandonano in un pianto rituale.
Nel complesso, tutta la rappresentazione ,nella sua essenzialità,risulta di grande livello e merita di essere goduta e apprezzata da un pubblico più vasto.e’ quello che si ripropongono di fare i ragazzi dell’Asylum Anteatro ai Vergini che la porteranno in giro per la Campania, ma sempre in posti molto suggestivi.
(Franco Lillini)

2 commenti:

Marzullann ha detto...

Stralcio da “TARANTERRA” di mimmo grasso:

… bella figliola che ti chiami rosa,
mània persefone asteria maria,
‘nferta delle lucerne e delle spine,
se apri la mano hai il nido di risposte
che stavamo per dare e che non diamo
se non quando è già tardi e siamo altrove,
più lontani di noi, dove l’amore
ha una fiaccola in mano e occhi bendati.

(auciello, tu ca viene da la francia,
dimme l’ammore comme s’accummencia
cummencia sempe cu suone e cu balle,
fernesce sempe cu chiante e lamiente)

nel tempo quando accadde quello che non accadde
vola via una colomba con tre macchie di rosso
lasciando sulla rena le statue a bocca aperta.

Bella figliola che ti chiami rosa,
l’amore è il resto dato dopo il prezzo
pagato per averlo, cicatrice
e pialla sulle costole dell’uomo
solo in mezzo a domande che si chiedono
cos’hanno chiesto, enigma
di uno più uno e il voler esser-uno
dissetati da ciotole di sete.

Nell’acqua innamorata dei tuoi fianchi
sgorga il sesso, marvizzo di scoglio,
umido labirinto dell’ascolto,
spiaggia di ciottoli del malincuore,
scorza di mandarino sul braciere,
ventaglio rosso delle cinque della sera,
succo d’uva e veleno macerato,
sudore d’acero, mirra
amaramaramara,

una conchiglia gira il suo guscio a sinistra
se mi sorridi quando azzanni un frutto

ostinato ed erettile mi tiri
alla corteccia, al muco, alla radice,
s’incarnano le unghie, s’acutizzano ai piedi
ed ho corna nodose come cerchi nell’albero,
un afrore di muschio e di capro sgozzato.

Hai un sentore di ghiandole e uovo caldo,
di chi ha inghiottito tufo, uno scorpione
nasconde il pungiglione nella coda degli occhi,
quei tuoi occhi in cui bevono uccelli
i tuoi occhi a perdita d’occhi
i tuoi occhi di chiara sura araba
i tuoi occhi che non credono ai tuoi occhi
i tuoi occhi da sabbia negli occhi
i tuoi occhi che parlano cogli occhi
i tuoi occhi che mi mangiano cogli occhi
i tuoi occhi che non fanno chiudere occhio
i tuoi occhi che se li apri nasco e se li chiudi muoio
perché morire e nascere è aprire chiudere occhi.
. . . . .
Bella figliola coi capelli grigi,
prega per me come nel fiume prega
il suo scorrere l’acqua. In me declina
per clinamina, spenta, la scintilla
di un pensiero senz’urti mentre il mare
incita i suoi puledri fra le dune
e veglia sul fondale un minareto
e il tempo manda avanti sulla spiaggia
tra le onde dei versi tartarughe
a deporre le uova del taciuto.

Nessun rumore. m’abbandono. lascio
che la polvere copra ciò che sono,
che lo scirocco avanzi nell’attrito
tra attimo ed istante.

in un battito d’occhi ciò che ho scritto sta scritto.
Da “’,” fino a “sta scritto”.

Il carbonaio aggiusta le mie bende,
ammucchia il nulla agli angoli,
chiude i medicamenti, con la garza
cancella la mia immagine

(cancellare è restaurare)

marzullann ha detto...

http://www.saperincampania.it/giornale-I-tarocchi-di-Taranterra