Con il termine identità si intende l’insieme delle
caratteristiche fisiche, sociali, psicologiche che costituiscono ognuno di noi
come persona singola e inconfondibile. La sua formazione è un vero processo che
dura tutta la vita, attraverso il quale l’individuo, sin dalle prime fasi dello
sviluppo infantile, costruisce la propria autonomia, riconoscendosi come
persona, attraverso la conoscenza e la comprensione di sé e delle sue relazioni
con gli altri.
Il percorso della identità,
quindi, è un percorso di affermazione e di accettazione di sé che si sviluppa
attraverso una serie di identificazioni grazie alle assimilazioni di
caratteristiche proposte da modelli esterni, a partire dai genitori.I processi e percorsi “identitari” non si sviluppano in un vuoto di interazioni sociali; al contrario, l’incidenza delle scelte educative (familiari, della scuola, dei gruppi ) è destinata a “segnare” la personalità. L’azione del singolo verso e dentro i gruppi è indirizzata alla soddisfazione del proprio desiderio di riconoscimento e accettazione, al di là di ogni forma di dipendenza, i cui eccessi vengono giudicati patologici. Il gruppo riconosce, accetta, gratifica, rassicura e, talvolta, protegge. Il solo fatto che l’identità personale concerne aspetti fisici, sociali e psicologici indica che come risultato del processo di identificazione, essa rifugge l’omogeneità: è un impasto di caratteristiche, forse armoniose ma non prive di differenze e contraddizioni spesso benefiche, che rendono veramente unici e imprevedibili. La molteplicità di tali caratteristiche aiuta l’individuo a scegliere risposte variegate nella selva delle occasioni che gli si presentano, facendo emergere ora un aspetto, ora un altro che danno la misura della ricchezza delle capacità acquisite, dei ruoli e delle funzioni che si è capaci di assumere, dell’ “identità” che si esprime.
Nell’ultimo trentennio, un nuovo argomento ha lasciato l’ambito antropologico, ha invaso il dibattito politico e giornalistico e si è diffuso tra le persone con pericolose semplificazioni e banalità: quello della rivendicazione di una identità di gruppo particolare, l’ “identità etnica”, che – guarda caso- sarebbe ben determinata e stabile, ovvero “esistente in natura”.
Il dibattito su di essa è stato sviluppato in maniera strumentale soprattutto dai movimenti “ neorazzisti”, anche nel nostro paese. Vale la pena di fare il punto su due aspetti della questione. Primo: se si tratta di una “identità di gruppo”, sia pur particolare, gode di tutte le caratteristiche gruppali: nasce da una volontà; si sviluppa secondo le qualità “singole” dei suoi partecipanti, che ne stabiliscono persino la durata; risente degli influssi socio-storici interni ed esterni. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con la “natura” ( che agisce come elemento di sfondo, importante ma non determinante, tantomeno “ ereditabile” come un fattore biologico).
Secondo: se è “identità etnica” vuol dire che fonda un’ “etnia”, termine spesso usato in maniera generica e mistificante.
L’identità collettiva ha ben poco di naturale. E’ una categoria costruita sul modello di quella individuale, da una parte, e facendo leva, strumentalmente, su i bisogni di coesione, protezione e affermazione, anche se questi ultimi richiedono la discriminazione più o meno violenta di altri gruppi. Come afferma Simona Argentieri, “sempre la crescita psicologica si articola in operazioni di discriminazione nella dimensione intrapsichica e in quella interpersonale. E sempre in tutti i suoi vari gradi questo processo si gioca all’insegna dell’aggressività”.
Perciò, chi insiste su elementi psicologici di marca identitaria per affermare interessi di parte, non può fare a meno di premere sull’accelleratore dell’autoaffermazione aggressiva. E la ricerca d’identità è presente come reazione alle proprie insicurezze mediante un “arroccamento egocentrico” in cui essa si mescola alla convinzione della propria superiorità.
Quella della identità etnica è, inoltre, una categoria politica. Per convenire su questa affermazione basterebbe riflettere su i momenti in cui si risveglia il desiderio di conoscere la propria identità, ( curiosamente limitata alla conoscenza delle “radici”) e i modi in cui esso viene politicamente sostenuto. Spesso, infatti, il desiderio si presenta in momenti difficili della propria vita o quando, sbattuti da tempeste politiche, regionali o nazionali, si cerca rassicurazione nella convinzione di “essere al proprio posto”. A indirizzare e sostenere questa domanda identitaria non ci sono l’educazione, le scelte spiegate, la solidarietà, l’equilibrio, la condivisione di responsabilità e lp’equità, ma la propaganda, l’arroganza, la deresponsabilizzazione costruita sull’indifferenza e il rancore, le motivazioni urlate e dirette a suscitare emozioni violente.
Inoltre, per sostenere la costruzione dell’appartenenza e dell’identità collettiva o etnica si rispolverano o si inventano riti che vengono fatti risalire a bei tempi antichi più fantastici che storici.
In questi casi la strumentalizzazione a fini politici è spesso evidente. Altrettanto chiaro è che oggi una nuova costruzione simbolico-rituale su vasta scala costituisce una operazione di marketing elaborata da professionisti scaltri e abili.
(“Identità” pag.217 da “Insulto dunque sono” di Giovanna Buonanno - letto dall’autrice stessa a Villa Cerillo il 28 marzo’14 )
v. anche precedenti sul Blog http://cantuccioletterario.blogspot.it/2014/01/da-insulto-dunque-sono-di-g-buonanno.html#more
http://www.liniziativa.net/?p=1155 http://archiviostorico.corriere.it/2013/novembre/20/Insulto_dunque_sono_perche_parole_co_0_20131120_e6b6a5ac-51ac-11e3-b627-e9178c75319e.shtml
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