E’ un libro di ricordi, scritto da un credente “uomo più che religioso”… (questo mi ha colpito). E’ un testo perfetto per la Lettura Condivisa in Gruppo ed ogni parola arriva all’animo di ciascuno come “miele lenitivo” della nostalgia del tempo passato, dei cari persi … delle ns.paure.
L’autore si ispira ad i sani e radicati principii propri della società contadina per cui ogni stagione, nei campi come nella vita, porta con sé i suoi riti, il suo lavoro,gioie e dolori. Il monito di fondo è l’esortazione, per i campi come per la vita, a seminare e ad aver cura del seminato …. per sé stessi e, comunque, per gli altri che verranno … chè, in qualche modo, prima o poi, il raccolto è garantito!
Leggere questa sorta di Diario di un uomo illuminato ed illuminante è un “regalo”di emozioni, serenità e fiducia … sul puntuale quanto imprevedibile fluire della vita !!
Marzullann
Dal WEB:” Confesso che nella mia vita stare accanto al camino acceso verso sera, all'ora del tramonto, è una delle gioie più grandi che mi è stato dato di vivere”.
Non “ogni cosa ha la sua stagione”, ma “ogni cosa alla sua stagione”. Un sottile spostamento di senso per dire come siamo noi, assieme alle cose di cui riempiamo i nostri giorni, ad appartenere al tempo. Non il contrario.
Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, conosce gli uomini e il mondo:
dalla sua cella, al rapporto con la quale dedica uno dei capitoli più intensi, non si limita ad osservare ciò che accade al di fuori.
Piuttosto, cerca nella solitudine che quello spazio comporta, un contatto autentico e profondo con sé stesso, così da poter poi tornare nel mondo forte di una nuova consapevolezza di quello che è altro da sé.
Attinge agli insegnamenti di un cistercense del dodicesimo secolo per riscoprire la radice comune a “cella” e a “coelum”, cielo, e costruisce un ponte fra due concetti apparentemente opposti, e invece accomunati da un’idea di orizzonte interiore che supera ciò che gli occhi possono vedere.
Il libro pubblicato da Einaudi inanella riflessioni maturate nel corso di una vita che Bianchi sente essere stata – ed essere ancora – piena, matura, ricca; e accanto a questi pensieri trovano spazio ricordi di gioventù, rievocazioni di momenti significativi e alcuni ritratti delle persone care.
Fuge, tace, quiesce. Fuggi, taci, rappacificati. Tre precetti che Bianchi ci illustra con passione, mostrandoci un ciclo virtuoso di cui l’uomo dispone per riappropriarsi della propria vita in tre passi.
Fuggire: “lasciare il luogo abituale di vita – anche se solo per il breve tempo di una vacanza – può diventare affermazione “che il luogo in cui si vive non basta, e che desideriamo altri luoghi”.
Tacere: regola d’oro nel mondo “assordante in cui viviamo oggi, dove il silenzio costituisce una creatura in via d’estinzione”.
Rappacificarsi, infine: per rinfrancarsi dalle fatiche, e “esercitarsi a pensare in grande, all’amare contemplando l’amore di cui siamo oggetto e l’amore che può sbocciare dal nostro cuore”.
Ma attenzione: non si tratta di un itinerario low cost, perché questo viaggio verso sé stessi richiede la rinuncia alle proprie abitudini, e la disponibilità ad allontanarsi dagli schemi cui ci appoggiamo per sentirci più forti.
La ricompensa, però, è grande, e può significare un rinnovato patto fra noi stessi e la società degli uomini nella quale viviamo ogni giorno.
Belle pagine, in un libro che sa regalarci anche osservazioni non banali, sull'importanza del convivio; sulle verità che il vino può dispensare se goduto con intelligenza; sull'amicizia, esercizio perpetuo di coltivazione della bellezza oggi più che mai indispensabile.
Non “ogni cosa ha la sua stagione”, ma “ogni cosa alla sua stagione”. Un sottile spostamento di senso per dire come siamo noi, assieme alle cose di cui riempiamo i nostri giorni, ad appartenere al tempo. Non il contrario.
Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, conosce gli uomini e il mondo:
dalla sua cella, al rapporto con la quale dedica uno dei capitoli più intensi, non si limita ad osservare ciò che accade al di fuori.
Piuttosto, cerca nella solitudine che quello spazio comporta, un contatto autentico e profondo con sé stesso, così da poter poi tornare nel mondo forte di una nuova consapevolezza di quello che è altro da sé.
Attinge agli insegnamenti di un cistercense del dodicesimo secolo per riscoprire la radice comune a “cella” e a “coelum”, cielo, e costruisce un ponte fra due concetti apparentemente opposti, e invece accomunati da un’idea di orizzonte interiore che supera ciò che gli occhi possono vedere.
Il libro pubblicato da Einaudi inanella riflessioni maturate nel corso di una vita che Bianchi sente essere stata – ed essere ancora – piena, matura, ricca; e accanto a questi pensieri trovano spazio ricordi di gioventù, rievocazioni di momenti significativi e alcuni ritratti delle persone care.
Fuge, tace, quiesce. Fuggi, taci, rappacificati. Tre precetti che Bianchi ci illustra con passione, mostrandoci un ciclo virtuoso di cui l’uomo dispone per riappropriarsi della propria vita in tre passi.
Fuggire: “lasciare il luogo abituale di vita – anche se solo per il breve tempo di una vacanza – può diventare affermazione “che il luogo in cui si vive non basta, e che desideriamo altri luoghi”.
Tacere: regola d’oro nel mondo “assordante in cui viviamo oggi, dove il silenzio costituisce una creatura in via d’estinzione”.
Rappacificarsi, infine: per rinfrancarsi dalle fatiche, e “esercitarsi a pensare in grande, all’amare contemplando l’amore di cui siamo oggetto e l’amore che può sbocciare dal nostro cuore”.
Ma attenzione: non si tratta di un itinerario low cost, perché questo viaggio verso sé stessi richiede la rinuncia alle proprie abitudini, e la disponibilità ad allontanarsi dagli schemi cui ci appoggiamo per sentirci più forti.
La ricompensa, però, è grande, e può significare un rinnovato patto fra noi stessi e la società degli uomini nella quale viviamo ogni giorno.
Belle pagine, in un libro che sa regalarci anche osservazioni non banali, sull'importanza del convivio; sulle verità che il vino può dispensare se goduto con intelligenza; sull'amicizia, esercizio perpetuo di coltivazione della bellezza oggi più che mai indispensabile.
9 commenti:
Un libro di ricordi e di riflessioni profonde sul percorso della propria vita che si evolve in parallelo cambiamenti della società dati dal progresso, scritto da un uomo di Dio i cui valori sono quelli del Bene Universale .
Un libro che mi ha commosso più volte nei brani in cui vengono raccontati fatti e persone che hanno fatto parte dell'infanzia dell'autore, di un mondo contadino di cui si è persa ogni traccia e che non tornerà più .
quando lo abbiamo letto è stato come guardarci dentro nel proprio intimo.ci ha fatto rivivere tradizioni che abbiamo vissuto e che sono andate perse,ognuno di noi ha ritrovato qualcosa del proprio passato.mi ha colpito molto come ha trattato l'argomento "vecchiaia",in un modo così sereno!non nella maniera"ho vissuto x gli altri e adesso penso a me stesso"(misero ed egoistico)ma al contrario pensare a quelli ke verranno.infatti(e questo mi ha commosso)lui pianta dei tigli x rendere più bello il luogo che lascerà a quelli ke verranno dopo di lui.bellissimo!!
Enzo Bianchi in questo libro descrive particolari stati d' animo ed esperienze che sono maturate nel corso della sua vita.In tutto questo,si comprende una sua filosofia fatta di religione,di etica,di linguaggio,di natura e di storia;Ha regalato a noi tutte emozioni di sorpresa ,gioia,tristezza,rabbia,dolore,fede.Qualcuna in certi brani ha pianto.Il messaggio che Bianchi ci vuole trasferire è quello di ricondurre tutti all'essenziale.
Durante la lettura di uno dagli ultimi capitoli del libro di Enzo Bianchi che abbiamo effettuato insieme, “Ogni cosa alla sua stagione”, sono stata colta da un’emozione ancora più grande di quella che veniva dal racconto dell’ incontro del protagonista con un contadino della sua zona a cui dona una copia della Bibbia e su cui l’anziano fattore, in un successivo incontro, esprime profonde riflessioni sul senso della vita, in generale, e sull’importanza dell’esperienza religiosa in quella di ciascuno.Ascoltavo e, contemporaneamente, guardavo le mie amiche, rapite dalle splendide parole che descrivevano l’incontro e la ricchezza delle riflessioni che da esse nascevano, a mia volta, colpita dall’intensità del loro ascolto e delle loro espressioni, concludendo che non c’è età né condizione che limiti lo stupore, il sentimento che è alla base del desiderio di conoscere.
E'tangibile, in ogni rigo del libro, l'amore che Enzo Bianchi nutre per il suo mondo, per le creature che man mano egli ha avuto la fortuna di conoscere e per quelle che gli sono venute a mancare. In ogni rigo scopri quanto è immenso l'amore che egli prova per il Creatore, riconoscendo nell'umile fiore la grandezza del Creato. Ti senti presa per mano e trasportata in angoli di mondo antico, in piccoli borghi dove ognuno conosce tutto dell'altro e prova nostalgia e rimpianto per i propri morti. Senza eccessiva enfasi, ma con molta dolcezza, ha fatto conoscere usi e costumi di un mondo rurale dove davvero anche gli oggetti più semplici, come una tavola imbandita, ricoprono un'importanza basilare per l'armonia e l'accordo che dovrebbe regnare in ogni casa.
E ststo un piacere leggere questo libro.Con un linguaggio semplice e scorrevole ma allo stesso tempo intenso.L'autore racconta ogni particolare dall'infanzia alla vecchiaia abbracciando l'intero arco della sua vita.Ci fa conoscere tutte le persone che hanno segnato la sua vita,insegnandoci il valore teorico e pratico della saggezza.Grazie Annamaria x averci dato questa opportunità.
Il libro di Bianchi mi è piaciuto perchè mi ha fatto rivivere la vita di un tempo così come mi raccontavano i nonni.Da piccola, con loro, che vivevano in campagna,a Tarquinia,si andava, di giorno, in giro per i campi e di sera si stava nella grande cucina con il focolare a legna....
Dal libro di Bianchi:"..la passione della parola, della comunicazione, e quindi della comunione, richiede l'arte del silenzio e della solitudine".
Rievoca quadretti della sua vita vissuta; alcuni coincidono con quelli della mia vita e per questi mi è piacevole il ricordo- Ma non mi dice niente di nuovo tranne che per il concetto di “cella” ( della sua cella monastica” ) che senza essere una prigione racchiude l'esistenza di un uomo, nella quale si avverte una profonda serenità e libertà_
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